Clostridioides difficile è un bacillo anaerobio gram +, sporigeno, produttore di citotossine, appartenente alla famiglia delle Clostridiaceae, genere Clostridioides. Come tale può determinare manifestazioni gastroenteriche che spaziano da una lieve sintomatologia diarroica, fino a condizioni di estrema gravità come colite pseudomembranosa (pseudomembranous colitis; PMC) e megacolon tossico. C. difficile è considerato un patogeno prevalentemente nosocomiale, essendo l’agente eziologico di almeno il 15-20% dei casi di diarrea associata ad antibiotici e virtualmente di ogni episodio di PMC. Nell’ultimo decennio, tuttavia, si è registrato un importante aumento anche delle infezioni acquisite in comunità. Il cambiamento epidemiologico, per quanto riguarda l’incidenza dell’infezione da C. difficile, manifestatosi a partire dagli anni 2000, è stato di particolare importanza. In questo contesto si è venuta ad inserire un’ulteriore questione rilevante, ovvero l’alta percentuale dei casi di infezione che tendono a recidivare, una o più volte, nonostante la completa guarigione dal primo episodio patologico. Si parla di ricorrenza qualora si assista a un ripresentarsi dell’infezione entro 8 settimane dall’insorgenza dell’episodio antecedente, nonostante si abbia avuto una totale risoluzione dei sintomi e il completamento della terapia. Questo studio, osservazionale, retrospettivo e monocentrico, si è posto lo scopo di valutare l’incidenza degli episodi recidivanti all’interno una popolazione di pazienti che avesse manifestato un primo caso di infezione da Clostridioides, oltre che di studiare l’impatto che determinati fattori di rischio potessero possedere sul facilitare o meno lo sviluppo della patologia ricorrente. Per fare ciò, è stata osservata una coorte di 20 pazienti, con infezione primaria sviluppata durante un ricovero presso il Dipartimento di Malattie Infettive, nel corso di un intervallo temporale di 10 mesi. Per ogni soggetto arruolato sono stati individuati due timepoints principali, uno, definito t0, corrispondente al termine della terapia antibiotica per il primo episodio infettivo, e il secondo, t30, che coincidesse al termine dei 30 giorni successivi al t0. All’interno della popolazione arruolata, il 20% dei pazienti ha manifestato una ricorrenza della patologia nel corso dell’intervallo t0-t30. Questi soggetti erano caratterizzati da un’età e da un indice di comorbidità più elevato rispetto alla mediana dalla popolazione di partenza. Inoltre, possedevano, in gran parte, altri fattori di rischio, quali l’assunzione di terapie antibiotiche nei 90 giorni precedenti il primo episodio infettivo, e, in alcuni casi, anche nel corso dell’intervallo t0-t30, piuttosto che la presenza di ricoveri ospedalieri nei 3 mesi antecedenti l’infezione primaria o l’assunzione di farmaci gastroprotettori, tutti elementi noti in letteratura, per incrementare in modo significativo l’incidenza dell’infezione da C. difficile e le sue ricorrenze. L’età avanzata e l’alto numero di comorbidità, insieme alla prolungata permanenza all’interno di strutture ospedaliere, all’assunzione di terapie antibiotiche e agli altri fattori di rischio indagati nel corso del periodo di osservazione, si concatenano andando a determinare una categoria di pazienti fragili e ad incrementato rischio di recidiva della patologia. Questi soggetti saranno inoltre proni a sviluppare episodi infettivi sempre più difficili da eradicare completamente e di maggior severità, in funzione del deterioramento delle proprie condizioni cliniche. Questi dati vanno a sottolineare l’importanza di una gestione ottimizzata e standardizzata delle infezioni da C. difficile, con controllo epidemiologico dell’andamento della patologia sul territorio, e dei fattori di rischio modificabili che possono predisporre il paziente ad episodi ricorrenti, per garantire un buon mantenimento della qualità di vita per il soggetto.
Recidive di enterite da C. difficile: uno studio retrospettivo monocentrico.
COCCONCELLI, CHIARA
2019/2020
Abstract
Clostridioides difficile è un bacillo anaerobio gram +, sporigeno, produttore di citotossine, appartenente alla famiglia delle Clostridiaceae, genere Clostridioides. Come tale può determinare manifestazioni gastroenteriche che spaziano da una lieve sintomatologia diarroica, fino a condizioni di estrema gravità come colite pseudomembranosa (pseudomembranous colitis; PMC) e megacolon tossico. C. difficile è considerato un patogeno prevalentemente nosocomiale, essendo l’agente eziologico di almeno il 15-20% dei casi di diarrea associata ad antibiotici e virtualmente di ogni episodio di PMC. Nell’ultimo decennio, tuttavia, si è registrato un importante aumento anche delle infezioni acquisite in comunità. Il cambiamento epidemiologico, per quanto riguarda l’incidenza dell’infezione da C. difficile, manifestatosi a partire dagli anni 2000, è stato di particolare importanza. In questo contesto si è venuta ad inserire un’ulteriore questione rilevante, ovvero l’alta percentuale dei casi di infezione che tendono a recidivare, una o più volte, nonostante la completa guarigione dal primo episodio patologico. Si parla di ricorrenza qualora si assista a un ripresentarsi dell’infezione entro 8 settimane dall’insorgenza dell’episodio antecedente, nonostante si abbia avuto una totale risoluzione dei sintomi e il completamento della terapia. Questo studio, osservazionale, retrospettivo e monocentrico, si è posto lo scopo di valutare l’incidenza degli episodi recidivanti all’interno una popolazione di pazienti che avesse manifestato un primo caso di infezione da Clostridioides, oltre che di studiare l’impatto che determinati fattori di rischio potessero possedere sul facilitare o meno lo sviluppo della patologia ricorrente. Per fare ciò, è stata osservata una coorte di 20 pazienti, con infezione primaria sviluppata durante un ricovero presso il Dipartimento di Malattie Infettive, nel corso di un intervallo temporale di 10 mesi. Per ogni soggetto arruolato sono stati individuati due timepoints principali, uno, definito t0, corrispondente al termine della terapia antibiotica per il primo episodio infettivo, e il secondo, t30, che coincidesse al termine dei 30 giorni successivi al t0. All’interno della popolazione arruolata, il 20% dei pazienti ha manifestato una ricorrenza della patologia nel corso dell’intervallo t0-t30. Questi soggetti erano caratterizzati da un’età e da un indice di comorbidità più elevato rispetto alla mediana dalla popolazione di partenza. Inoltre, possedevano, in gran parte, altri fattori di rischio, quali l’assunzione di terapie antibiotiche nei 90 giorni precedenti il primo episodio infettivo, e, in alcuni casi, anche nel corso dell’intervallo t0-t30, piuttosto che la presenza di ricoveri ospedalieri nei 3 mesi antecedenti l’infezione primaria o l’assunzione di farmaci gastroprotettori, tutti elementi noti in letteratura, per incrementare in modo significativo l’incidenza dell’infezione da C. difficile e le sue ricorrenze. L’età avanzata e l’alto numero di comorbidità, insieme alla prolungata permanenza all’interno di strutture ospedaliere, all’assunzione di terapie antibiotiche e agli altri fattori di rischio indagati nel corso del periodo di osservazione, si concatenano andando a determinare una categoria di pazienti fragili e ad incrementato rischio di recidiva della patologia. Questi soggetti saranno inoltre proni a sviluppare episodi infettivi sempre più difficili da eradicare completamente e di maggior severità, in funzione del deterioramento delle proprie condizioni cliniche. Questi dati vanno a sottolineare l’importanza di una gestione ottimizzata e standardizzata delle infezioni da C. difficile, con controllo epidemiologico dell’andamento della patologia sul territorio, e dei fattori di rischio modificabili che possono predisporre il paziente ad episodi ricorrenti, per garantire un buon mantenimento della qualità di vita per il soggetto.È consentito all'utente scaricare e condividere i documenti disponibili a testo pieno in UNITESI UNIPV nel rispetto della licenza Creative Commons del tipo CC BY NC ND.
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https://hdl.handle.net/20.500.14239/11724