La malattia di Alzheimer (AD: Alzheimer’s Disease) è la patologia neurodegenerativa più diffusa nell’uomo e la prima causa di demenza negli anziani. Generalmente l’esordio si ha in età senile o presenile, ma può avere anche un esordio precoce. Ad oggi le cause e i meccanismi di progressione di questa malattia invalidante non sono del tutto chiari, sappiamo che si evidenzia un danno neuronale che clinicamente si manifesta con perdita di memoria a breve termine e disorientamento. Con il progredire della malattia, oltre alla perdita di memoria, si arriva all’incapacità di svolgere normali attività quotidiane. Si ritiene che anomalie a livello del metabolismo di due proteine principali siano fondamentali nello sviluppo della malattia. L’accumulo di proteina β-amiloide a livello cerebrale è la caratteristica patologica iniziale della malattia di Alzheimer e porta alla formazione di placche amiloidi. Il processo di accumulo può iniziare anche dieci anni prima della manifestazione dei primi sintomi. Un’altra causa scatenante è costituita dall’iperfosforilazione della proteina Tau. Questa proteina promuove la formazione di microtubuli e li stabilizza, quando si trova in forma iperfosforilata provoca una destabilizzazione del citoscheletro, i neuroni perdono funzionalità e vanno incontro a morte cellulare. Attualmente non esiste una cura in grado di modificare e/o bloccare l’avanzare della malattia, ma la terapia ad oggi utilizzata è di tipo sintomatica, quindi deputata al rallentamento della progressione dei sintomi per un periodo di tempo limitato. I farmaci approvati dalla FDA per il trattamento della sindrome di Alzheimer e che ho approfondito in questo mio elaborato sono: gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, tra cui rivastigmina, tacrina, donepezil e galantamina; e gli antagonisti dei recettori NMDA, tra cui la memantina. Ho voluto dare più spazio ai nuovi approcci farmacologici che hanno l’obiettivo di sviluppare farmaci in grado non solo di agire sui sintomi, ma anche sulla neurodegenerazione e quindi arrestare la progressione della malattia. Tra questi nuovi farmaci troviamo: strategie terapeutiche anti β-amiloide, come l’immunoterapia attiva e passiva e gli inibitori della β e γ secretasi; strategie contro la proteina Tau, quindi gli inibitori della GSK3, stabilizzanti dei microtubuli e l’immunoterapia attiva e passiva anti-Tau. Nonostante molte di queste molecole abbiano fallito l’obiettivo clinico principale, hanno dato risultati positivi su studi preclinici svolti su modello animale e negli stadi precoci della malattia. I fallimenti, comunque, vanno interpretati positivamente in quanto portano a una conoscenza sempre più profonda della malattia e rappresentano il punto di partenza per i successivi nuovi studi.
Sindrome di Alzheimer: dalla terapia convenzionale alle innovazioni farmacologiche
FERRARIO, MARGHERITA
2019/2020
Abstract
La malattia di Alzheimer (AD: Alzheimer’s Disease) è la patologia neurodegenerativa più diffusa nell’uomo e la prima causa di demenza negli anziani. Generalmente l’esordio si ha in età senile o presenile, ma può avere anche un esordio precoce. Ad oggi le cause e i meccanismi di progressione di questa malattia invalidante non sono del tutto chiari, sappiamo che si evidenzia un danno neuronale che clinicamente si manifesta con perdita di memoria a breve termine e disorientamento. Con il progredire della malattia, oltre alla perdita di memoria, si arriva all’incapacità di svolgere normali attività quotidiane. Si ritiene che anomalie a livello del metabolismo di due proteine principali siano fondamentali nello sviluppo della malattia. L’accumulo di proteina β-amiloide a livello cerebrale è la caratteristica patologica iniziale della malattia di Alzheimer e porta alla formazione di placche amiloidi. Il processo di accumulo può iniziare anche dieci anni prima della manifestazione dei primi sintomi. Un’altra causa scatenante è costituita dall’iperfosforilazione della proteina Tau. Questa proteina promuove la formazione di microtubuli e li stabilizza, quando si trova in forma iperfosforilata provoca una destabilizzazione del citoscheletro, i neuroni perdono funzionalità e vanno incontro a morte cellulare. Attualmente non esiste una cura in grado di modificare e/o bloccare l’avanzare della malattia, ma la terapia ad oggi utilizzata è di tipo sintomatica, quindi deputata al rallentamento della progressione dei sintomi per un periodo di tempo limitato. I farmaci approvati dalla FDA per il trattamento della sindrome di Alzheimer e che ho approfondito in questo mio elaborato sono: gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, tra cui rivastigmina, tacrina, donepezil e galantamina; e gli antagonisti dei recettori NMDA, tra cui la memantina. Ho voluto dare più spazio ai nuovi approcci farmacologici che hanno l’obiettivo di sviluppare farmaci in grado non solo di agire sui sintomi, ma anche sulla neurodegenerazione e quindi arrestare la progressione della malattia. Tra questi nuovi farmaci troviamo: strategie terapeutiche anti β-amiloide, come l’immunoterapia attiva e passiva e gli inibitori della β e γ secretasi; strategie contro la proteina Tau, quindi gli inibitori della GSK3, stabilizzanti dei microtubuli e l’immunoterapia attiva e passiva anti-Tau. Nonostante molte di queste molecole abbiano fallito l’obiettivo clinico principale, hanno dato risultati positivi su studi preclinici svolti su modello animale e negli stadi precoci della malattia. I fallimenti, comunque, vanno interpretati positivamente in quanto portano a una conoscenza sempre più profonda della malattia e rappresentano il punto di partenza per i successivi nuovi studi.È consentito all'utente scaricare e condividere i documenti disponibili a testo pieno in UNITESI UNIPV nel rispetto della licenza Creative Commons del tipo CC BY NC ND.
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https://hdl.handle.net/20.500.14239/12570