La tesi si inserisce all’interno del dibattito relativo ai campi profughi nel mondo. Questi insediamenti, istituiti rapidamente in base alle rigide norme dell'UNHCR , hanno il solo scopo di accogliere gli sfollati per breve tempo. Il layout organizzativo dei campi risulta, dunque, efficiente ed adeguato se stimato su un’accoglienza breve, ma entra in crisi se valutato su periodi più lunghi, che implicano riflessioni più ampie relativamente alla spazialità comunitaria. Le organizzazioni umanitarie basano l'intero approccio sul presupposto che la situazione sia temporanea e si concentrano principalmente sulla fornitura di requisiti umanitari di base. I campi, quindi, non riescono a soddisfare una forma sostenibile di aiuto, poiché viene a mancare tutta quell’attenzione relativa alla definizione della qualità degli spazi e al processo di appropriazione del luogo ed identificazione da parte dei popoli ospitati. Questi spazi mutano in fretta in luoghi semipermanenti, meglio definibili come baraccopoli alienanti, nelle quali non è concesso lavorare e quindi sviluppare un’autonomia, tutto ciò per decine di anni nella maggior parte dei casi. La tesi si pone il problema di un potenziale adeguamento degli spazi domestici del campo, portando avanti una riflessione sulla dimensione abitativa data da UNHCR e sul valore degli spazi di condivisione e comunitari. La ricerca di un assetto urbano meglio rispondente alle necessità dei rifugiati del campo di May Aini ha cercato risposte fra le proposte di città utopistiche nella storia, che inevitabilmente presentano impianti ordinati e specifici. Dopo aver raggiunto la consapevolezza che quella strada avrebbe potuto fruttare solamente risposte parziali, si è spostata l’attenzione su riferimenti urbani più vicini al territorio etiope, quindi più vicini geograficamente, ma non sulla scala temporale. I villaggi africani analizzati presentano numerose delle caratteristiche considerate poi fondamentali per la realizzazione di spazi adeguati per la popolazione di cui si occupa questa tesi. Lo sviluppo di una proposta insediativa sostenibile, con le potenzialità e i numeri del campo, è caratterizzato da un’attenta ricerca relativa alla tecnologia applicabile e alla realizzabilità della proposta. Si sviluppa un sistema insediativo ripetibile, ma che permetta una lettura degli spazi non monotona e adeguabile ad esigenze differenti nel tempo. La matrice progettata vuole essere un sistema pratico di conversione del campo. Tale matrice opererà sul territorio generando spazi domestici e semi privati, che al tempo stesso creeranno spazi pubblici di risulta, nei quali sarà possibile collocare funzioni differenti. Il sistema generato negherà l’impianto ortogonale proposto da UNHCR relativamente all’assetto infrastrutturale e lascerà emergere una distribuzione dei contesti della città più fluida e vicina alla tradizione etiope. Il progetto delle unità abitative presenta un linguaggio dinamico, poiché in parte le residenze proporranno un retaggio vernacolare in chiave contemporanea, in parte saranno orientate verso un low tech che consenta la semplice autocostruzione, riportando caratteristiche meno tradizionali, ma con la finalità di permettere un’espansione futura degli spazi domestici in autonomia. I materiali scelti fanno riferimento prevalentemente alla disponibilità del territorio e alle risorse già presenti nel campo. Da essi derivano le scelte relative alle tecniche costruttive, senza dimenticare l’importanza del linguaggio, che in contesti come questo partecipa attivamente alla ridefinizione dell’identità del popolo. La riflessione sulla qualità dell’abitare in situazioni emergenziali passa attraverso la considerazione che anche nella precarietà informale del campo profughi, lo spazio domestico non possa essere risolto unicamente in maniera matematica, ma debba porsi con uno sguardo più etico nei confronti di chi li abita.
Definitivamente temporaneo. Progetto di consolidamento del campo di May Aini nel Tigray
CAPOTORTO, MARGHERITA
2019/2020
Abstract
La tesi si inserisce all’interno del dibattito relativo ai campi profughi nel mondo. Questi insediamenti, istituiti rapidamente in base alle rigide norme dell'UNHCR , hanno il solo scopo di accogliere gli sfollati per breve tempo. Il layout organizzativo dei campi risulta, dunque, efficiente ed adeguato se stimato su un’accoglienza breve, ma entra in crisi se valutato su periodi più lunghi, che implicano riflessioni più ampie relativamente alla spazialità comunitaria. Le organizzazioni umanitarie basano l'intero approccio sul presupposto che la situazione sia temporanea e si concentrano principalmente sulla fornitura di requisiti umanitari di base. I campi, quindi, non riescono a soddisfare una forma sostenibile di aiuto, poiché viene a mancare tutta quell’attenzione relativa alla definizione della qualità degli spazi e al processo di appropriazione del luogo ed identificazione da parte dei popoli ospitati. Questi spazi mutano in fretta in luoghi semipermanenti, meglio definibili come baraccopoli alienanti, nelle quali non è concesso lavorare e quindi sviluppare un’autonomia, tutto ciò per decine di anni nella maggior parte dei casi. La tesi si pone il problema di un potenziale adeguamento degli spazi domestici del campo, portando avanti una riflessione sulla dimensione abitativa data da UNHCR e sul valore degli spazi di condivisione e comunitari. La ricerca di un assetto urbano meglio rispondente alle necessità dei rifugiati del campo di May Aini ha cercato risposte fra le proposte di città utopistiche nella storia, che inevitabilmente presentano impianti ordinati e specifici. Dopo aver raggiunto la consapevolezza che quella strada avrebbe potuto fruttare solamente risposte parziali, si è spostata l’attenzione su riferimenti urbani più vicini al territorio etiope, quindi più vicini geograficamente, ma non sulla scala temporale. I villaggi africani analizzati presentano numerose delle caratteristiche considerate poi fondamentali per la realizzazione di spazi adeguati per la popolazione di cui si occupa questa tesi. Lo sviluppo di una proposta insediativa sostenibile, con le potenzialità e i numeri del campo, è caratterizzato da un’attenta ricerca relativa alla tecnologia applicabile e alla realizzabilità della proposta. Si sviluppa un sistema insediativo ripetibile, ma che permetta una lettura degli spazi non monotona e adeguabile ad esigenze differenti nel tempo. La matrice progettata vuole essere un sistema pratico di conversione del campo. Tale matrice opererà sul territorio generando spazi domestici e semi privati, che al tempo stesso creeranno spazi pubblici di risulta, nei quali sarà possibile collocare funzioni differenti. Il sistema generato negherà l’impianto ortogonale proposto da UNHCR relativamente all’assetto infrastrutturale e lascerà emergere una distribuzione dei contesti della città più fluida e vicina alla tradizione etiope. Il progetto delle unità abitative presenta un linguaggio dinamico, poiché in parte le residenze proporranno un retaggio vernacolare in chiave contemporanea, in parte saranno orientate verso un low tech che consenta la semplice autocostruzione, riportando caratteristiche meno tradizionali, ma con la finalità di permettere un’espansione futura degli spazi domestici in autonomia. I materiali scelti fanno riferimento prevalentemente alla disponibilità del territorio e alle risorse già presenti nel campo. Da essi derivano le scelte relative alle tecniche costruttive, senza dimenticare l’importanza del linguaggio, che in contesti come questo partecipa attivamente alla ridefinizione dell’identità del popolo. La riflessione sulla qualità dell’abitare in situazioni emergenziali passa attraverso la considerazione che anche nella precarietà informale del campo profughi, lo spazio domestico non possa essere risolto unicamente in maniera matematica, ma debba porsi con uno sguardo più etico nei confronti di chi li abita.È consentito all'utente scaricare e condividere i documenti disponibili a testo pieno in UNITESI UNIPV nel rispetto della licenza Creative Commons del tipo CC BY NC ND.
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https://hdl.handle.net/20.500.14239/12835