Sono circa 11.5 milioni i soggetti in regime di detenzione nel mondo, di cui 56.225 in Italia (nonostante la capienza massima prevista sia di 51.174), smistati in 189 case circondariali. La prigionia è di per sé un fattore di rischio per morbilità (soprattutto per patologia infettiva, psichica e tossicodipendenza), nonché di mortalità rispetto alla popolazione generale. Il tasso di suicidio, in particolare, per i detenuti italiani è tre volte più alto rispetto alla popolazione generale. Confrontando cittadini e detenuti, l’Italia risulta, infatti, tra le nazioni dell’Unione Europea con il più elevato gap riguardante l’autolesionismo e il suicidio. In tale contesto, si ricorda che la Costituzione Italiana garantisce il diritto alla salute (art.32) anche a coloro che sono sottoposti a misure detentive, ovvero restrittive della libertà individuale, sottolineando come non sia possibile evitare la presa in carico della salute detenuto. Lo scopo del lavoro è quello di descrivere il fenomeno dei decessi in soggetti in regime di detenzione, attraverso l’analisi della casistica autoptica del settorato pavese dal 1999 ad oggi, confrontando i dati con quelli presenti nella letteratura nazionale ed internazionale di riferimento. Nel periodo analizzato sono state effettuate 8139 autopsie, di cui 86 su soggetti detenuti, su richiesta della Procura in un’area geografica corrispondente all’Italia nord-occidentale. Le stesse sono state classificate in base alle seguenti modalità di decesso: naturale o violenta (accidentale, suicidaria e omicidiaria) e per ogni detenuto sono stati presi in considerazione: dati anagrafici (sesso ed età), sociali (precedente lavoro e stato civile) e anamnesi clinica, oltre alle risultanze delle indagini forensi. Particolare attenzione è stata posta ai casi di suicidio, ove si è approfondita la presenza di comportamenti autolesivi. Tale popolazione comprende un solo soggetto di sesso femminile e 85 soggetti di sesso maschile; con età media di 40,98 anni (± DS 11,58) (Range 22 – 81 anni). Sono state identificate 28 morti naturali (le cause cardiache sono le più frequenti); 15 morti accidentali; 1 caso di omicidio (shock emorragico per lesione da arma bianca) e 42 casi di suicidio. Di questi ultimi, 33 soggetti sono deceduti per asfissia acuta, di cui 31 per impiccamento: 7 di loro erano affetti da patologia psichiatriche e 6 erano tossicodipendenti, solo 1 ha lasciato un suicide note e 6 avevano già tentato il suicidio. Esaminare le caratteristiche di tali decessi rappresenta una riflessione imprescindibile per un sistema giudiziario e penitenziario civile e un punto di partenza per migliorare la salute carceraria, nonché progettare campagne di prevenzione efficaci contro il fenomeno suicidario. La Letteratura di riferimento, in tal senso, riporta come tale modello (meramente a scopo detentivo) sia ad oggi estremamente obsoleto nonché inidoneo ad una corretta riabilitazione sociale dei detenuti, che invece si otterrebbe con successo con un modello psicoterapeutico di natura cognitivo-comportamentale. La medicina legale ha anche in tal senso il dovere di mediare questi dati al servizio della giustizia.

Morti in regime di detenzione: revisione della letteratura e casistica autoptica medico-legale

LACQUAGNI, RICCARDO
2021/2022

Abstract

Sono circa 11.5 milioni i soggetti in regime di detenzione nel mondo, di cui 56.225 in Italia (nonostante la capienza massima prevista sia di 51.174), smistati in 189 case circondariali. La prigionia è di per sé un fattore di rischio per morbilità (soprattutto per patologia infettiva, psichica e tossicodipendenza), nonché di mortalità rispetto alla popolazione generale. Il tasso di suicidio, in particolare, per i detenuti italiani è tre volte più alto rispetto alla popolazione generale. Confrontando cittadini e detenuti, l’Italia risulta, infatti, tra le nazioni dell’Unione Europea con il più elevato gap riguardante l’autolesionismo e il suicidio. In tale contesto, si ricorda che la Costituzione Italiana garantisce il diritto alla salute (art.32) anche a coloro che sono sottoposti a misure detentive, ovvero restrittive della libertà individuale, sottolineando come non sia possibile evitare la presa in carico della salute detenuto. Lo scopo del lavoro è quello di descrivere il fenomeno dei decessi in soggetti in regime di detenzione, attraverso l’analisi della casistica autoptica del settorato pavese dal 1999 ad oggi, confrontando i dati con quelli presenti nella letteratura nazionale ed internazionale di riferimento. Nel periodo analizzato sono state effettuate 8139 autopsie, di cui 86 su soggetti detenuti, su richiesta della Procura in un’area geografica corrispondente all’Italia nord-occidentale. Le stesse sono state classificate in base alle seguenti modalità di decesso: naturale o violenta (accidentale, suicidaria e omicidiaria) e per ogni detenuto sono stati presi in considerazione: dati anagrafici (sesso ed età), sociali (precedente lavoro e stato civile) e anamnesi clinica, oltre alle risultanze delle indagini forensi. Particolare attenzione è stata posta ai casi di suicidio, ove si è approfondita la presenza di comportamenti autolesivi. Tale popolazione comprende un solo soggetto di sesso femminile e 85 soggetti di sesso maschile; con età media di 40,98 anni (± DS 11,58) (Range 22 – 81 anni). Sono state identificate 28 morti naturali (le cause cardiache sono le più frequenti); 15 morti accidentali; 1 caso di omicidio (shock emorragico per lesione da arma bianca) e 42 casi di suicidio. Di questi ultimi, 33 soggetti sono deceduti per asfissia acuta, di cui 31 per impiccamento: 7 di loro erano affetti da patologia psichiatriche e 6 erano tossicodipendenti, solo 1 ha lasciato un suicide note e 6 avevano già tentato il suicidio. Esaminare le caratteristiche di tali decessi rappresenta una riflessione imprescindibile per un sistema giudiziario e penitenziario civile e un punto di partenza per migliorare la salute carceraria, nonché progettare campagne di prevenzione efficaci contro il fenomeno suicidario. La Letteratura di riferimento, in tal senso, riporta come tale modello (meramente a scopo detentivo) sia ad oggi estremamente obsoleto nonché inidoneo ad una corretta riabilitazione sociale dei detenuti, che invece si otterrebbe con successo con un modello psicoterapeutico di natura cognitivo-comportamentale. La medicina legale ha anche in tal senso il dovere di mediare questi dati al servizio della giustizia.
2021
Deaths in jails: review of the literature and analysis of autopsies cases
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14239/15739