Prima della sottoscrizione della Carta di Gubbio, la tutela era sempre stata limitata agli edifici di importanza monumentale come chiese, palazzi e altre architetture storiche rilevanti, mentre il tessuto edilizio di base poteva essere disponibile ad interventi anche di radicale demolizione e sostituzione con edilizia moderna, eventualmente temperata dal ricorso a vincoli. La città di Bologna iniziò a recepire fedelmente le direttive della Carta di Gubbio per le sensibilità politiche locali ormai consolidate nel primo decennio di ricostruzione, decennio peraltro dove una prima espansione urbana era avvenuta in modo privatistico, quantitativo e speculativo. Il restauro doveva interessare programmaticamente la città nel suo insieme e non singoli edifici o episodi e quindi la pianificazione del centro storico, il suo destino, il suo uso, erano strettamente connessi e derivanti dalla pianificazione generale del territorio sin dal punto di vista sociale che tecnico. L’urbanista romano Giuseppe Campos Venuti venne qui chiamato dal Partito comunista locale e nominato assessore all’Urbanistica del Comune di Bologna in occasione delle elezioni amministrative del 1960. Campos Venuti portò nella città emiliana quell’esperienza negli studi sulla rendita urbana di cui aveva fatto scoperta lavorando a Roma con Natoli e partecipando alle iniziative dell’Istituto nazionale di urbanistica, ma portò anche un’idea precisa di città ed un progetto, ugualmente teorizzato a Roma durante gli anni Cinquanta, che contribuirà a trasformare Bologna attraverso la conservazione di alcuni dei suoi caratteri. Questo progetto fu in parte condiviso con le scuole di urbanistica e d’architettura romane, che furono invitate a collaborare alla redazione del «Piano Intercomunale per Bologna». Questo non fu uno degli strumenti tipici della conservazione bolognese, ma fu quello che fissò il disegno complessivo di quella «grande Bologna più qualitativa che quantitativa, organismo armonico di ampio respiro che crea le condizioni indispensabili per una convivenza moderna e civile» di cui la città storica era parte integrante ed integrata, definendone il supporto sia infrastrutturale che concettuale. Certamente la nascita di un’urbanistica riformistica a Bologna fu dovuta in modo decisivo dal clima politico nazionale. Il miracolo economico stava portando ricchezza al paese, ma per i lavoratori questa ricchezza non fu affatto consistente: questa situazione stimolò la nascita del primo centro-sinistra riformista e il suo tentativo urbanistico con Sullo, poi arenatosi. L’area bolognese e la gran parte dell’Emilia-Romagna fu terreno di coltura della sperimentazione pianificata dell’urbanistica riformista guidata proprio da Campos Venuti. Iniziò un processo decennale e graduale di raccordo fra dibattito nazionale su una riforma legislativa in tal senso e gli interventi locali per il trapasso dei suoli dallo sfruttamento agricolo all’area urbana; un trapasso che solo un ente pubblico poteva garantire senza disuguaglianze tra le proprietà interessate. La riforma nazionale fallita aveva messo in moto in ogni caso un sistema di leggi parziali e piani regolatori che tentarono di governare le trasformazioni edilizie e le espansioni urbane. Senza la possibilità di applicare una riforma unitaria e integrale, il Comune di Bologna fece in modo di utilizzare le leggi e i finanziamenti disponibili, realizzando nei fatti un risultato finale di poco inferiore a ciò che si era proposto lo stesso Sullo per l’Italia intera. L’esempio che vado a citare è lampante della sensibilità ormai maggioritaria nelle istituzioni e nei settori sociali bolognesi di questi anni nei confronti della conservazione del suo nucleo storico.

Il Piano di recupero del centro storico di Bologna (1960-1973) tra speculazione edilizia e conservazione monumentale

PIVONI, EDOARDO
2020/2021

Abstract

Prima della sottoscrizione della Carta di Gubbio, la tutela era sempre stata limitata agli edifici di importanza monumentale come chiese, palazzi e altre architetture storiche rilevanti, mentre il tessuto edilizio di base poteva essere disponibile ad interventi anche di radicale demolizione e sostituzione con edilizia moderna, eventualmente temperata dal ricorso a vincoli. La città di Bologna iniziò a recepire fedelmente le direttive della Carta di Gubbio per le sensibilità politiche locali ormai consolidate nel primo decennio di ricostruzione, decennio peraltro dove una prima espansione urbana era avvenuta in modo privatistico, quantitativo e speculativo. Il restauro doveva interessare programmaticamente la città nel suo insieme e non singoli edifici o episodi e quindi la pianificazione del centro storico, il suo destino, il suo uso, erano strettamente connessi e derivanti dalla pianificazione generale del territorio sin dal punto di vista sociale che tecnico. L’urbanista romano Giuseppe Campos Venuti venne qui chiamato dal Partito comunista locale e nominato assessore all’Urbanistica del Comune di Bologna in occasione delle elezioni amministrative del 1960. Campos Venuti portò nella città emiliana quell’esperienza negli studi sulla rendita urbana di cui aveva fatto scoperta lavorando a Roma con Natoli e partecipando alle iniziative dell’Istituto nazionale di urbanistica, ma portò anche un’idea precisa di città ed un progetto, ugualmente teorizzato a Roma durante gli anni Cinquanta, che contribuirà a trasformare Bologna attraverso la conservazione di alcuni dei suoi caratteri. Questo progetto fu in parte condiviso con le scuole di urbanistica e d’architettura romane, che furono invitate a collaborare alla redazione del «Piano Intercomunale per Bologna». Questo non fu uno degli strumenti tipici della conservazione bolognese, ma fu quello che fissò il disegno complessivo di quella «grande Bologna più qualitativa che quantitativa, organismo armonico di ampio respiro che crea le condizioni indispensabili per una convivenza moderna e civile» di cui la città storica era parte integrante ed integrata, definendone il supporto sia infrastrutturale che concettuale. Certamente la nascita di un’urbanistica riformistica a Bologna fu dovuta in modo decisivo dal clima politico nazionale. Il miracolo economico stava portando ricchezza al paese, ma per i lavoratori questa ricchezza non fu affatto consistente: questa situazione stimolò la nascita del primo centro-sinistra riformista e il suo tentativo urbanistico con Sullo, poi arenatosi. L’area bolognese e la gran parte dell’Emilia-Romagna fu terreno di coltura della sperimentazione pianificata dell’urbanistica riformista guidata proprio da Campos Venuti. Iniziò un processo decennale e graduale di raccordo fra dibattito nazionale su una riforma legislativa in tal senso e gli interventi locali per il trapasso dei suoli dallo sfruttamento agricolo all’area urbana; un trapasso che solo un ente pubblico poteva garantire senza disuguaglianze tra le proprietà interessate. La riforma nazionale fallita aveva messo in moto in ogni caso un sistema di leggi parziali e piani regolatori che tentarono di governare le trasformazioni edilizie e le espansioni urbane. Senza la possibilità di applicare una riforma unitaria e integrale, il Comune di Bologna fece in modo di utilizzare le leggi e i finanziamenti disponibili, realizzando nei fatti un risultato finale di poco inferiore a ciò che si era proposto lo stesso Sullo per l’Italia intera. L’esempio che vado a citare è lampante della sensibilità ormai maggioritaria nelle istituzioni e nei settori sociali bolognesi di questi anni nei confronti della conservazione del suo nucleo storico.
2020
The Recovery Plan of the Historical Centre of Bologna (1960-1973) between building speculation and monument conservation
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

È consentito all'utente scaricare e condividere i documenti disponibili a testo pieno in UNITESI UNIPV nel rispetto della licenza Creative Commons del tipo CC BY NC ND.
Per maggiori informazioni e per verifiche sull'eventuale disponibilità del file scrivere a: unitesi@unipv.it.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14239/1617