Il percorso tra gli oratori della coppia Rasi-Bonfichi dimostra quanto l’oratorio italiano dell’Ottocento fosse un genere tutt’altro che morto e che non fosse relegato completamente all’imitazione del linguaggio operistico. I due tentarono un rinnovamento piuttosto considerevole dello stile più tipico del dramma musicale sacro della loro epoca. Fin dagli esordi dimostrarono molta originalità sia negli intenti che nel linguaggio adottato. La loro carriera si snoda attraverso una lenta maturazione di un ‘nuovo metodo’ di approccio all’oratorio, che acquisiranno pienamente solamente a metà degli venti dell’Ottocento, quando entrambi ormai erano nella piena maturità arti-stica. La loro produzione può suddividere sostanzialmente in quattro fasi ben distinte tra loro: -La prima dimostra la grande originalità di intenti e la determinazione con cui essi venivano perse-guiti, da parte di un librettista e di un compositore alle loro prime prove, che non temono di far ri-corso a linguaggi innovativi (la sinfonia programmatica, i numerosi inserti strumentali, l’inserimento di numeri vocali che fanno riferimento più alla tradizione liturgica che a quella drammatica, la ricerca di unità e collegamento nell’azione all’interno del libretto) e allo stesso tempo di far riferimento alla produzione del passato (l’oratorio metastasiano) e di criticare tutti i contemporanei (per aver corrotto il genere sacro con indebite mescolanze con l’opera profana). -La seconda, dopo un lungo periodo di pausa, sembra rimescolare almeno momentaneamente le carte in tavola. I due si producono in una serie di oratori nello stile più tipico della loro epoca, con le stesse caratteristiche da loro evitate e condannate nell’opera d’esordio. -La terza fase però dimostra che le scelte fatte erano solo di facciata, a partire Tra il 1822 e il 1824, inizia un periodo di elaborazione di un ‘nuovo metodo’, capace di far fronte alle nuove esigenze del pubblico senza però snaturare un genere sacro con troppe commistioni con l’opera. È Rasi il promo-tore di questa riforma del linguaggio del dramma sacro che si articola in tre punti fondamentali: ri-spetto delle tre unità aristoteliche così come enunciate da Metastasio, abolizione dei numeri chiusi in sé stessi per garantire all’opera un’unità maggiore e per dar maggior continuità all’azione scenica senza soffermarsi troppo sull’interiorità dei singoli personaggi, e infine enfasi posta sull’intento di-dascalico dell’oratorio, che in quegli anni rischiava di trasformarsi in un genere meramente d’intrattenimento. Prova a proporlo a Mayr, uno dei compositori più importanti e più di successo della sua epoca, ma il tentativo non va a buon fine. Mette da parte per il momento la sua sperimen-tazione, ma già con un oratorio come La risurrezione di Nostro Signor Gesù Cristo, Rasi e Bonfichi fanno ritorno ad alcune caratteristiche originali che avevano caratterizzato il loro ‘primo genito’ e abbandonano i tratti invece più tipici della produzione operistica che aveva caratterizzato la seconda fase. -È solo grazie alla collaborazione con Bonfichi, compositore che per sua natura risulta aperto alla sperimentazione e non chiuso in schemi prefissati, che il ‘nuovo metodo’ riesce a concretizzarsi in un oratorio di successo come La discesa di Gesù Cristo al Limbo. Il nuovo linguaggio viene poi perfezionato e portato a compimento nella Genesi, dramma scritto da Rasi in aperta polemica con La creazione di Haydn, uno dei più importanti ed influenti dell’Ottocento. Il confronto con un’opera di tale statura fa sì che sia il librettista che il compositore tentino di raggiungere il miglior risultato possibile, ne nasce così uno delle composizioni più riuscite della loro carriera.

Gli oratori di Giovanni Battista Rasi e Paolo Bonfichi tra convenzioni di genere, fedeltà scritturistica e novità di linguaggio

MAMBRINI, ALESSANDRO
2016/2017

Abstract

Il percorso tra gli oratori della coppia Rasi-Bonfichi dimostra quanto l’oratorio italiano dell’Ottocento fosse un genere tutt’altro che morto e che non fosse relegato completamente all’imitazione del linguaggio operistico. I due tentarono un rinnovamento piuttosto considerevole dello stile più tipico del dramma musicale sacro della loro epoca. Fin dagli esordi dimostrarono molta originalità sia negli intenti che nel linguaggio adottato. La loro carriera si snoda attraverso una lenta maturazione di un ‘nuovo metodo’ di approccio all’oratorio, che acquisiranno pienamente solamente a metà degli venti dell’Ottocento, quando entrambi ormai erano nella piena maturità arti-stica. La loro produzione può suddividere sostanzialmente in quattro fasi ben distinte tra loro: -La prima dimostra la grande originalità di intenti e la determinazione con cui essi venivano perse-guiti, da parte di un librettista e di un compositore alle loro prime prove, che non temono di far ri-corso a linguaggi innovativi (la sinfonia programmatica, i numerosi inserti strumentali, l’inserimento di numeri vocali che fanno riferimento più alla tradizione liturgica che a quella drammatica, la ricerca di unità e collegamento nell’azione all’interno del libretto) e allo stesso tempo di far riferimento alla produzione del passato (l’oratorio metastasiano) e di criticare tutti i contemporanei (per aver corrotto il genere sacro con indebite mescolanze con l’opera profana). -La seconda, dopo un lungo periodo di pausa, sembra rimescolare almeno momentaneamente le carte in tavola. I due si producono in una serie di oratori nello stile più tipico della loro epoca, con le stesse caratteristiche da loro evitate e condannate nell’opera d’esordio. -La terza fase però dimostra che le scelte fatte erano solo di facciata, a partire Tra il 1822 e il 1824, inizia un periodo di elaborazione di un ‘nuovo metodo’, capace di far fronte alle nuove esigenze del pubblico senza però snaturare un genere sacro con troppe commistioni con l’opera. È Rasi il promo-tore di questa riforma del linguaggio del dramma sacro che si articola in tre punti fondamentali: ri-spetto delle tre unità aristoteliche così come enunciate da Metastasio, abolizione dei numeri chiusi in sé stessi per garantire all’opera un’unità maggiore e per dar maggior continuità all’azione scenica senza soffermarsi troppo sull’interiorità dei singoli personaggi, e infine enfasi posta sull’intento di-dascalico dell’oratorio, che in quegli anni rischiava di trasformarsi in un genere meramente d’intrattenimento. Prova a proporlo a Mayr, uno dei compositori più importanti e più di successo della sua epoca, ma il tentativo non va a buon fine. Mette da parte per il momento la sua sperimen-tazione, ma già con un oratorio come La risurrezione di Nostro Signor Gesù Cristo, Rasi e Bonfichi fanno ritorno ad alcune caratteristiche originali che avevano caratterizzato il loro ‘primo genito’ e abbandonano i tratti invece più tipici della produzione operistica che aveva caratterizzato la seconda fase. -È solo grazie alla collaborazione con Bonfichi, compositore che per sua natura risulta aperto alla sperimentazione e non chiuso in schemi prefissati, che il ‘nuovo metodo’ riesce a concretizzarsi in un oratorio di successo come La discesa di Gesù Cristo al Limbo. Il nuovo linguaggio viene poi perfezionato e portato a compimento nella Genesi, dramma scritto da Rasi in aperta polemica con La creazione di Haydn, uno dei più importanti ed influenti dell’Ottocento. Il confronto con un’opera di tale statura fa sì che sia il librettista che il compositore tentino di raggiungere il miglior risultato possibile, ne nasce così uno delle composizioni più riuscite della loro carriera.
2016
The oratorios by Giovanni Battista Rasi and Paolo Bonfichi among genre conventions, adherence to the Bible and innovations of musical language
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14239/19856