La figura di Melchisedek, re e sacerdote di Salem, rappresenta uno snodo esegetico attraverso cui nel cristianesimo tardoantico e medievale sono stati legittimati il potere ecclesiastico e politico. La ricerca prende avvio dall’analisi dei fondamenti biblici, a partire dai passi di Genesi 14, Salmo 110 e dall’Epistola agli Ebrei, nella quale il sacerdozio “secondo l’ordine di Melchisedek” diviene chiave di lettura cristologica. In età tardoantica, autori cristiani si confrontano su questioni quali il sacerdozio, con l’obiettivo di definire la religione cristiana in contrasto con il ben più antico ebraismo, recuperando il personaggio primotestamentario. Mentre nel mondo bizantino gli imperatori fanno spesso uso di Melchisedek per legittimare i propri interventi in ambito religioso, questa pratica viene condannata sia da papi come Felice III e Gelasio sia da figure quali Massimo il Confessore, che tentarono di limitare l’influenza dell’impreatore nelle questioni ecclesiastiche. Gli intellettuali della schola palatina dedicano speciale attenzione agli scritti dei padri della Chiesa e diedero origine ad interessanti nuove letture di questa enigmatica figura, al fine di affrontare problematiche a loro contemporanee quali la definizione del sacerdozio e la lotta all’idolatria. Nel XIII secolo la figura viene reinterpretata in chiave ierocratica, a partire da Bernardo di Chiaravalle e Gioacchino da Fiore, interpretazioni da cui deriva alcuni decenni dopo la retorica papale di Innocenzo III e IV, che innalzano il pontefice a immagine di Cristo sacerdote “secondo l’ordine di Melchisedek”. La tradizione prosegue fino alla fine del medioevo, quando testi come la Reformatio Sigismundi e i dibattiti conciliari del XV e XVI secolo riattualizzano la questione esegetica intorno a Melchisedek nel confronto tra potere spirituale e potere temporale, nonché nella riflessione teologica sull’eucaristia.
Melchisedek e il sacerdozio di Cristo: interpretazioni teologiche e politiche nel cristianesimo tardoantico e medievale
LOMBARDO FACCIALE, SARAH
2024/2025
Abstract
La figura di Melchisedek, re e sacerdote di Salem, rappresenta uno snodo esegetico attraverso cui nel cristianesimo tardoantico e medievale sono stati legittimati il potere ecclesiastico e politico. La ricerca prende avvio dall’analisi dei fondamenti biblici, a partire dai passi di Genesi 14, Salmo 110 e dall’Epistola agli Ebrei, nella quale il sacerdozio “secondo l’ordine di Melchisedek” diviene chiave di lettura cristologica. In età tardoantica, autori cristiani si confrontano su questioni quali il sacerdozio, con l’obiettivo di definire la religione cristiana in contrasto con il ben più antico ebraismo, recuperando il personaggio primotestamentario. Mentre nel mondo bizantino gli imperatori fanno spesso uso di Melchisedek per legittimare i propri interventi in ambito religioso, questa pratica viene condannata sia da papi come Felice III e Gelasio sia da figure quali Massimo il Confessore, che tentarono di limitare l’influenza dell’impreatore nelle questioni ecclesiastiche. Gli intellettuali della schola palatina dedicano speciale attenzione agli scritti dei padri della Chiesa e diedero origine ad interessanti nuove letture di questa enigmatica figura, al fine di affrontare problematiche a loro contemporanee quali la definizione del sacerdozio e la lotta all’idolatria. Nel XIII secolo la figura viene reinterpretata in chiave ierocratica, a partire da Bernardo di Chiaravalle e Gioacchino da Fiore, interpretazioni da cui deriva alcuni decenni dopo la retorica papale di Innocenzo III e IV, che innalzano il pontefice a immagine di Cristo sacerdote “secondo l’ordine di Melchisedek”. La tradizione prosegue fino alla fine del medioevo, quando testi come la Reformatio Sigismundi e i dibattiti conciliari del XV e XVI secolo riattualizzano la questione esegetica intorno a Melchisedek nel confronto tra potere spirituale e potere temporale, nonché nella riflessione teologica sull’eucaristia.| File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14239/32225