Abstract A distanza di cinquant’anni è tornata la crisi energetica in Europa e con essa anche l’inflazione. Nel nuovo secolo non si era ancora assistito ad un livello generale dei prezzi così elevato ma questo evento macroeconomico può rappresentare un punto di svolta per il futuro energetico europeo. Nel periodo successivo alla crisi del debito sovrano la Banca Centrale Europea ha attuato manovre di politica monetaria straordinarie, una su tutte il Quantitative Easing. Gli effetti di queste politiche sono stati di iniettare nel sistema molta liquidità attraverso l’acquisto di titoli di debito statali. L’istituto europeo ha quindi deciso di accollarsi questo debito ed ergersi a garante per far sì che non vi sono fossero altri casi simili a quello della Grecia. Nel medio periodo questi effetti si sono andati a combinare con un periodo di lockdown dovuto alla crisi pandemica del Covid-19, la quale ha generato dei colli di bottiglia in alcuni settori e spinto la domanda verso l’alto. Con la ripresa economica post pandemia l’inflazione ha iniziato a crescere e il conflitto in Est Europa ha svolto il ruolo di detonatore. Gli impatti di questa guerra sono stati molto forti sulle nostre economie per due principali motivi: perché l’Europa è fortemente dipendente dalle materie prime importate dalla Russia e perché il settore energetico è ad alta concorrenza imperfetta, vi sono infatti pochi grandi produttori, spesso organizzati che fissano il prezzo o regolano le quantità per farlo lievitare. Il modello neokeynesiano delle tre equazioni consente di effettuare una lettura della macroeconomia, lettura sulla quale l’istituto monetario va poi ad applicare una politica monetaria, espansiva o restrittiva che sia. A fronte di una inflazione alta era scontato che la risposta fosse un incremento dei tassi per abbattere la domanda aggregata. Le conseguenze di questa crisi e della sua politica monetaria hanno fatto sì però che la forbice tra le fasce di reddito intermedie e le fasce di reddito alte aumentassero. Le imprese e le banche hanno sfruttato l’inflazione come un motivo sufficiente a giustificare un rialzo così vertiginoso dei prezzi, andando a intaccare ulteriormente il già eroso potere di acquisto delle famiglie. Seppur questo rialzo dei tassi nel lungo periodo riporterà l’economia ad un equilibrio ci si interroga sul costo sociale che comporta. Se l’inflazione è un processo redistributivo tra debitori e creditori, in questa situazione la redistribuzione non è avvenuta o più precisamente e fasce medio basse hanno pagato l’inflazione più di quanto avrebbero dovuto.
La crisi energetica e la politica monetaria della BCE: un'analisi attraverso il modello IS-LM-PC
OLIVETTI, NICOLA
2022/2023
Abstract
Abstract A distanza di cinquant’anni è tornata la crisi energetica in Europa e con essa anche l’inflazione. Nel nuovo secolo non si era ancora assistito ad un livello generale dei prezzi così elevato ma questo evento macroeconomico può rappresentare un punto di svolta per il futuro energetico europeo. Nel periodo successivo alla crisi del debito sovrano la Banca Centrale Europea ha attuato manovre di politica monetaria straordinarie, una su tutte il Quantitative Easing. Gli effetti di queste politiche sono stati di iniettare nel sistema molta liquidità attraverso l’acquisto di titoli di debito statali. L’istituto europeo ha quindi deciso di accollarsi questo debito ed ergersi a garante per far sì che non vi sono fossero altri casi simili a quello della Grecia. Nel medio periodo questi effetti si sono andati a combinare con un periodo di lockdown dovuto alla crisi pandemica del Covid-19, la quale ha generato dei colli di bottiglia in alcuni settori e spinto la domanda verso l’alto. Con la ripresa economica post pandemia l’inflazione ha iniziato a crescere e il conflitto in Est Europa ha svolto il ruolo di detonatore. Gli impatti di questa guerra sono stati molto forti sulle nostre economie per due principali motivi: perché l’Europa è fortemente dipendente dalle materie prime importate dalla Russia e perché il settore energetico è ad alta concorrenza imperfetta, vi sono infatti pochi grandi produttori, spesso organizzati che fissano il prezzo o regolano le quantità per farlo lievitare. Il modello neokeynesiano delle tre equazioni consente di effettuare una lettura della macroeconomia, lettura sulla quale l’istituto monetario va poi ad applicare una politica monetaria, espansiva o restrittiva che sia. A fronte di una inflazione alta era scontato che la risposta fosse un incremento dei tassi per abbattere la domanda aggregata. Le conseguenze di questa crisi e della sua politica monetaria hanno fatto sì però che la forbice tra le fasce di reddito intermedie e le fasce di reddito alte aumentassero. Le imprese e le banche hanno sfruttato l’inflazione come un motivo sufficiente a giustificare un rialzo così vertiginoso dei prezzi, andando a intaccare ulteriormente il già eroso potere di acquisto delle famiglie. Seppur questo rialzo dei tassi nel lungo periodo riporterà l’economia ad un equilibrio ci si interroga sul costo sociale che comporta. Se l’inflazione è un processo redistributivo tra debitori e creditori, in questa situazione la redistribuzione non è avvenuta o più precisamente e fasce medio basse hanno pagato l’inflazione più di quanto avrebbero dovuto.È consentito all'utente scaricare e condividere i documenti disponibili a testo pieno in UNITESI UNIPV nel rispetto della licenza Creative Commons del tipo CC BY NC ND.
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https://hdl.handle.net/20.500.14239/3444