Against a theoretical background that ranges from classical Aesthetics’ debate on disgust to Freud’s theory of disgust as repressed desire, this study discusses and develops Winfried Menninghaus’s thesis that Kafka’s prose has a “miraculous” ability to make disgusting subject matter, openly presented as such, almost imperceptible. Firstly, I provide a comparative study of different 19th and 20th-century forms of art that involve repugnant representations, such as Romantic Art and Abject Art, with the aim to detect literature’s peculiarity with regard to disgust. Namely, literature’s distinctive potential - embodied by Kafka at its finest - to integrate disgust in a semantic context that delays and dissolves its perturbing and anti-aesthetic effect. Secondly, I draw on Walter Benjamin’s and Theodor Adorno’s reflections on Kafka to develop the methodological coordinates for a philosophical reading of Kafka’s work, capable to investigate the means, the meaning and the effects on the reader of Kafka’s extraordinary incorporation of disgust.

Questo lavora sviluppa e approfondisce la tesi di Winfried Menninghaus, secondo la quale la prosa di Kafka ha una capacità “miracolosa” di integrare il disgustoso. Innanzitutto, per comprendere e giustificare la cifra di eccezionalità della rappresentazione kafkiana del disgustoso, il primo capitolo ricostruisce il dibattito sul disgustoso sviluppatosi nell’estetica classica tedesca, ad opera di autori come Schlegel, Mendelssohn, Kant, Lessing e Herder . La nascita dell’estetica nel Settecento come disciplina autonoma è coincisa con l’esclusione del disgusto dal dominio dell’arte bella, in quanto unico sentimento negativo che resiste all’illusione estetica e impedisce il piacere nei fruitori. Il disgusto va così a costituire il limite invalicabile dell’estetica, inscritto in profondità nel suo sistema concettuale in quanto indispensabile per definire, in negativo, l’ambito di pertinenza del giudizio di gusto e del bello. Nonostante il netto verdetto degli estetologi settecenteschi sul disgustoso, o forse proprio in provocazione rispetto ad esso, a pochi anni di distanza si assiste alla proliferazione nell’arte Romantica e Contemporanea di tratti, segni e tematiche disgustose. Rifacendosi soprattutto alla teoria freudiana del disgusto come piacere ripudiato e prodotto del processo di civilizzazione, la fascinazione romantica e contemporanea per il disgusto è ricondotta ad una forma di trasgressione regolata delle norme imposte dall’estetica settecentesca, e dunque ad una loro implicita riaffermazione. Inoltre, attingendo dalle osservazioni del Laooconte di Lessing, il primo capitolo indaga il rapporto del tutto peculiare che la letteratura intrattiene con il disgustoso, in quanto capace d’inserirlo più facilmente in un contesto semantico che ne depotenzia l’effetto sgradevole ed anti-estetico sul lettore. L’opera di Kafka è dunque presentata come uno straordinario esempio di tale processo di“semantizzazione” del disgustoso: Kafka riesce a rendere oggetti disgustosi, apertamente presentati come tali, impercettibili ed invisibili. Per introdurre lo studio testuale della capacità di Kafka d’integrare il disgustoso, il secondo capitolo ricostruisce l’interpretazione filosofica dell’opera di Kafka di Benjamin e Adorno, autori che forniscono delle coordinate insostituibili per approcciare il testo kafkiano e la sua enigmaticità, rispettandone la letteralità e senza imporgli interpretazioni deformanti o forzate. Il terzo capitolo, invece, è dedicato ad un’indagine diretta delle opere di Kafka e dei tre principali effetti testuali che egli adopera per dissimulare, pur esibendola, la presenza del disgustoso. La prima strategia è la de-sincronizzazione dell’effetto di disgusto rispetto all’oggetto che dovrebbe provocarlo, effetto ottenuto producendo una sensazione di completa estraneità del lettore, inserendo gli oggetti disgustosi in campi semantici sorprendentemente estranei ad essi, o assumendo un punto di vista oggettivante e “specialistico” che disperde il senso del disgusto. La seconda strategia è l’assunzione di un punto di vista innocente e puerile che simula, coinvolgendone il lettore, un’assenza (freudianamente) infantile di disgusto verso i fatti narrati. La terza strategia, invece, è l’ adozione di strutture e riferimenti a generi letterari, come il mito e la fiaba, rispetto ai quali i lettori sono già abituati a sospendere le proprie reazioni di disgusto. Infine, l’ultimo capitolo indaga un tema particolare della fenomenologia del disgustoso in Kafka: il legame tra la figura femminile disgustosa e il potere. Ricostruendo l’immaginario antichissimo della vetula disgustosa, si vuole mostrare la peculiarità della rappresentazione femminile kafkiana, e l’evoluzione in rapporto al tema del potere che tale figura subisce nel corso dei tre romanzi di Kafka.

Illusione estetica e disgusto: un'interpretazione filosofica dell'opera di Kafka

SIENA, NORA
2017/2018

Abstract

Against a theoretical background that ranges from classical Aesthetics’ debate on disgust to Freud’s theory of disgust as repressed desire, this study discusses and develops Winfried Menninghaus’s thesis that Kafka’s prose has a “miraculous” ability to make disgusting subject matter, openly presented as such, almost imperceptible. Firstly, I provide a comparative study of different 19th and 20th-century forms of art that involve repugnant representations, such as Romantic Art and Abject Art, with the aim to detect literature’s peculiarity with regard to disgust. Namely, literature’s distinctive potential - embodied by Kafka at its finest - to integrate disgust in a semantic context that delays and dissolves its perturbing and anti-aesthetic effect. Secondly, I draw on Walter Benjamin’s and Theodor Adorno’s reflections on Kafka to develop the methodological coordinates for a philosophical reading of Kafka’s work, capable to investigate the means, the meaning and the effects on the reader of Kafka’s extraordinary incorporation of disgust.
2017
Aesthetic Illusion and Disgust: a Philosophical Interpretation of Kafka's work
Questo lavora sviluppa e approfondisce la tesi di Winfried Menninghaus, secondo la quale la prosa di Kafka ha una capacità “miracolosa” di integrare il disgustoso. Innanzitutto, per comprendere e giustificare la cifra di eccezionalità della rappresentazione kafkiana del disgustoso, il primo capitolo ricostruisce il dibattito sul disgustoso sviluppatosi nell’estetica classica tedesca, ad opera di autori come Schlegel, Mendelssohn, Kant, Lessing e Herder . La nascita dell’estetica nel Settecento come disciplina autonoma è coincisa con l’esclusione del disgusto dal dominio dell’arte bella, in quanto unico sentimento negativo che resiste all’illusione estetica e impedisce il piacere nei fruitori. Il disgusto va così a costituire il limite invalicabile dell’estetica, inscritto in profondità nel suo sistema concettuale in quanto indispensabile per definire, in negativo, l’ambito di pertinenza del giudizio di gusto e del bello. Nonostante il netto verdetto degli estetologi settecenteschi sul disgustoso, o forse proprio in provocazione rispetto ad esso, a pochi anni di distanza si assiste alla proliferazione nell’arte Romantica e Contemporanea di tratti, segni e tematiche disgustose. Rifacendosi soprattutto alla teoria freudiana del disgusto come piacere ripudiato e prodotto del processo di civilizzazione, la fascinazione romantica e contemporanea per il disgusto è ricondotta ad una forma di trasgressione regolata delle norme imposte dall’estetica settecentesca, e dunque ad una loro implicita riaffermazione. Inoltre, attingendo dalle osservazioni del Laooconte di Lessing, il primo capitolo indaga il rapporto del tutto peculiare che la letteratura intrattiene con il disgustoso, in quanto capace d’inserirlo più facilmente in un contesto semantico che ne depotenzia l’effetto sgradevole ed anti-estetico sul lettore. L’opera di Kafka è dunque presentata come uno straordinario esempio di tale processo di“semantizzazione” del disgustoso: Kafka riesce a rendere oggetti disgustosi, apertamente presentati come tali, impercettibili ed invisibili. Per introdurre lo studio testuale della capacità di Kafka d’integrare il disgustoso, il secondo capitolo ricostruisce l’interpretazione filosofica dell’opera di Kafka di Benjamin e Adorno, autori che forniscono delle coordinate insostituibili per approcciare il testo kafkiano e la sua enigmaticità, rispettandone la letteralità e senza imporgli interpretazioni deformanti o forzate. Il terzo capitolo, invece, è dedicato ad un’indagine diretta delle opere di Kafka e dei tre principali effetti testuali che egli adopera per dissimulare, pur esibendola, la presenza del disgustoso. La prima strategia è la de-sincronizzazione dell’effetto di disgusto rispetto all’oggetto che dovrebbe provocarlo, effetto ottenuto producendo una sensazione di completa estraneità del lettore, inserendo gli oggetti disgustosi in campi semantici sorprendentemente estranei ad essi, o assumendo un punto di vista oggettivante e “specialistico” che disperde il senso del disgusto. La seconda strategia è l’assunzione di un punto di vista innocente e puerile che simula, coinvolgendone il lettore, un’assenza (freudianamente) infantile di disgusto verso i fatti narrati. La terza strategia, invece, è l’ adozione di strutture e riferimenti a generi letterari, come il mito e la fiaba, rispetto ai quali i lettori sono già abituati a sospendere le proprie reazioni di disgusto. Infine, l’ultimo capitolo indaga un tema particolare della fenomenologia del disgustoso in Kafka: il legame tra la figura femminile disgustosa e il potere. Ricostruendo l’immaginario antichissimo della vetula disgustosa, si vuole mostrare la peculiarità della rappresentazione femminile kafkiana, e l’evoluzione in rapporto al tema del potere che tale figura subisce nel corso dei tre romanzi di Kafka.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14239/5069